Il problema non è l’ascesa delle macchine “intelligenti”, ma l’istupidimento dell’umanità.Astra Taylor
Non ci sono mete che valgono per tutti, ognuno ha la propria destinazione, ognuno i propri obiettivi. A tal proposito, lo studioso Howard Gardner ha ipotizzato che esistano tanti tipi di intelligenze, tra cui, per esempio, quella interpersonale, quella matematica, musicale e persino naturalistica. L’intreccio di queste sfaccettature del nostro modo di pensare ci rende unici: nessuno è uguale a qualcun altro. Un’altra cosa importante: per migliorare bisogna per forza sbagliare. Quanti scarabocchi abbiamo fatto prima di realizzare un bel disegno? E quanta cartastraccia ci è servita per scrivere un ottimo riassunto? Ecco, quei tentativi sono stati i nostri alleati nel processo di crescita. E la cosa emozionante è che tutto ciò che siamo, lo dobbiamo a quel processo di “prova ed errore”. Se ci fossimo ancorati ai compiti mal riusciti, non avremmo potuto ampliare le nostre conoscenze, abilità e competenze. Dunque, gli scarabocchi e la cartastraccia ci hanno aiutato a crescere. Questo è chiaro nel cartone animato “Little Snitch” in cui l’alieno dalle sembianze di un koala riesce a cambiare atteggiamento soltanto nel momento in cui diventa in grado di imparare dai suoi errori, anche grazie alla pazienza delle persone che gli erano accanto. C’è infatti, un sottile confine che separa l’errore dall’opportunità di crescita. Questo confine sta nel comprendere e riflettere, facendo propri i consigli che ci vengono dati.
Prima dell’avvento dei navigatori satellitari, durante un viaggio, ci si arrangiava con la classica cartina stradale. Per giungere in un posto, bisognava studiare il percorso, a volte fermarsi per controllarlo e, spesso, chiedere indicazioni a qualcuno che incontravi lungo la via. Non era dunque insolito sbagliare strada e dover rielaborare il percorso, ma eri chiamato a essere pienamente protagonista del viaggio e avevi la possibilità di cogliere anche la particolarità di luoghi che non avresti mai visto senza aver sbagliato strada. Oggi è diverso, le applicazioni di navigazione ti accompagnano alla destinazione indicata e se, per caso, prendi qualche strada sbagliata subito rielaborano il percorso al posto tuo. Non voglio affermare nostalgicamente che era meglio una volta e demonizzare le possibilità attuali, anzi, il navigatore è una grande comodità. Ma in questo mondo “intelligente” credo sia improntante tornare a maturare una mentalità stabile di discernimento, visto che l’ignoranza sembra sia la regola anziché l’eccezione. Stranamente, il messaggio non è mai che anche gli umani hanno bisogno di diventare più intelligenti, ma che non abbiano più bisogno di sbagliare o di confrontarsi.
Invece, errori e rielaborazioni possono suscitare varie domande. I termini portano con sé l’immagine del lavoratore diligente.
Henri Matisse era costantemente alla ricerca dell’eleganza attraverso la semplicità. La Chapelle du Saint-Marie du Rosaire, a Vence, per esempio, offre un interessante punto di equilibrio tra armonia, poesia e bellezza che si incontrano e confondono nella composizione dello spazio sacro. L’artista ha raggiunto questa sintesi dopo un lungo processo di elaborazione, riempiendo decine di quaderni, blocchi e composizioni, nei quali da bozzetti dettagliati e descrittivi, pesanti e ridondanti, è arrivato a immagini via via più essenziali. L’opera definitiva, sintetica, colpisce e rimane nella mente, affascina perché conserva uno slancio e una potenza magnetiche. Racconta la tensione, lo sforzo e la passione che hanno accompagnato Matisse nel viaggio verso l’essenziale attraverso il meccanismo della rielaborazione.
Il soluzionismo tecnologico è la credenza che ogni problema della società sia un “bug” che ha bisogno di essere “corretto” con un algoritmo. La sua naturale conseguenza è il paternalismo tecnologico, il governo degli algoritmi.
In ogni cultura, abbiamo bisogno di parlare del mondo futuro in cui noi e i nostri figli desideriamo vivere. Non vi sarà mai una sola risposta. C’è però un messaggio generale che si applica a tutte le prospettive: nonostante o a causa dell’innovazione tecnologica, abbiamo bisogno di usare più che mai i nostri cervelli. Anziché di spavento o clamore, il mondo “intelligente” ha bisogno di cittadini critici meglio informati che vogliono esercitare il controllo sulle loro vite in prima persona. Nutro la convinzione profonda che noi esseri umani non siamo così stupidi e incapaci di funzionare come viene spesso sostenuto, finché continuiamo a rimanere attivi e a far uso dei nostri cervelli, che si sono sviluppati nell’intricato corso dell’evoluzione. Il rischio di accettare la narrazione negativa secondo cui le macchine “ottimizzino” le nostre vite cresce giorno dopo giorno ed è uno dei motivi che mi ha particolarmente motivato a scrivere questo blog.
System Mechanix è in definitiva un appassionato appello a mantenere vive le eredità conquistate con fatica della libertà personale e della democrazia, perché l’intelligenza umana batte ancora gli algoritmi. Dovremmo semplicemente metterci comodi e rilassarci mentre i sofwatre prendono decisioni al posto nostro e senza sbagliare? Assolutamente no. Restare intelligenti non significa prestare fede inconsapevolmente alla tecnologia, né significa diffidarne ansiosamente. Consiste invece nel comprendere quel che le macchine possono fare e quel che non è altro che la fantasia delle esagerazioni del marketing e delle fedi tecnoreligiose. Riguarda anche la forza personale impiegata per controllare un dispositivo invece di esserne telecomandati.
Il trucco sta nel divertirsi con le cose, evitando di confonderle con chi siamo: nessuno strumento dovrebbe diventare una protesi, una proiezione che ci fa credere di essere illimitati e che ci usa, piuttosto solo una delle tante “biciclette per la mente”, utili alla scoperta del nostro vero essere.
Ama le persone usa le cose. Il contrario non funziona mai.